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martedì 16 aprile 2013

IL TAPPO DELLA BUROCRAZIA SUL RIMBORSO DI 40 MILIARDI ALLE IMPRESE

Contrariamente a quel che appare, occorre sapere che la spinta al rimborso dei crediti delle imprese nei confronti delle PA non viene asolutamente dal governo italiano e dalla sua burocrazia nè dalle forze politiche che hanno governato finora.Come per tante altre innovazioni avute in questi anni in Italia , l'impulso decisivo viene dalla Commissione Europea ed è il prodotto di un lavoro di tre anni.Si tratta in realtà di una sconfitta della burocrazia italiana, in quanto il decreto è stato un atto obbligato per uniformarsi alle direttive europee.Nei prossimi mesi la Banca d'Italia, il Ministero dell'Economia, la Regioneria Generale dello Stato, i Ministeri, tutte le Pubbliche Amministrazioni faranno di tutto pur di rallentare e ritardare questo impegno. Già la tempistica per fornire al governo da parte di ogni PA l'elenco dei debiti (qualcosa che non si è fatto per anni e che si vorrebbe realizzare in due settimane) appare fuori dalla realtà e gli esperti concordano che tutto l'apparato del decreto non sia altro che il progetto di un gigantesco rubinetto non in grado di erogare alcunchè, se non, almeno, di fatto, tra una decina di mesi.Ossia quando tante imprese saranno cessate e tanti imprenditori ancora suicidatisi.Una enorme, gigantesca presa in giro che non sta denunciando nessuno , all'interno delle Pubbliche Amministrazioni, men che meno i sindacati i quali nella peggiore delle ipotesi sono collusi con l'alta dirigenza, nella migliore sono timorosi di evidenziare inefficienze per eventuali reazioni dell'opinione pubblica che portino a chiedere ulteriori tagli occupazionali nel pubblico impiego.E costoro non si rendono conto di aver perso una irripetibile occasione per schierare i funzionari pubblici con la parte produttiva del paese togliendoli dalle grinfie dei parassiti raccomandati col colletto bianco. E' indubbio infatti che la popolarità dei dipendenti pubblici (quella che manca loro da trent'anni e che pian piano li ha condotti al decadimento professionale e retributivo) cambierebbe di colpo se dimostrassero di sapersi meglio scegliere le amicizie e i sindacati e di avere a cuore innanzitutto la salute del loro assistito (il cittadino) anche se l'ospedale in cui lavorano (la loro amministrazione) ha vistose carenze strutturali

BANCHE, ITALIA-GERMANIA: E SE STESSIMO MEGLIO NOI?

Se ne parla poco ma a livello di Bce è in corso un passaggio delicato su una questione decisiva: l'uniformità in tutta Europa della vigilanza bancaria. Da una parte tira Draghi, dall'altra le banche tedesche oppongono una inattesa resistenza. Si capisce che è difficile parlare di queste cose in un momento in cui, a livello mediatico, la reputazione delle maggiori banche italiane è ai minimi storici. Però alcuni dati erano già noti e non contestati. Ad esempio che le banche italiane soffrissero da tempo uno svantaggio competitivo rispetto alle loro concorrenti straniere che si traduce in un sensibile gap sui costi del credito concesso, soprattutto, in Italia, alle piccole e medie imprese. E nella minore libertà di azzardare operazioni all'estero più agevoli per controlli meno ossessivi. In più a pochi è noto che il famoso segreto bancario in Italia non esiste più mentre resiste in alcuni paesi addirittura della Ue che poi guarda caso fungono da polo di attrazione per le imprese italiane costrette ad emigrare. In Italia le grandi banche sono nel mirino, tra le altre cose, in quanto gestite dalle fondazioni bancarie governate dalla politica. Nell'insospettabile Germania sembra che perfino a livello regionale esistanto banche locali pesantemente colluse con la politica per comportamenti e finanziamenti non del tutto trasparenti. Unificare l'Ue dal punto di vista bancario significherebbe rivoltare, in maniera imbarazzante, questo macigno, scoprendo, magari, che in Europa ogni mondo è paese (ivi compresa la severissima Germania). Certo, crollerebbe un mito per molti.In Italia però questa battaglia sul processo di unificazione europea delle banche, che provocherebbe clamorose conseguenze sulle regole e sul sistema di vigilanza, sembra interessare pochissimo quei sindacati bancari che antepongono gli interessi dei loro amici di partito (politici locali e banchieri fedeli) al risanamento e al rilancio competitivo delle nostre aziende bancarie. Con i risultati (sia in termini penali che occupazionali) che stiamo ammirando in questi giorni.

MA TU VULIVE 'A PIZZA

La notizia è sorprendente: secondo i calcoli della Federazione Pubblici Esercizi della Confcommercio, in Italia mancano 6.000 pizzaioli. Se li avessimo, sarebbero, in breve, 6.000 posti di lavoro in più , già belli e pronti. Ma non c'è niente da fare, in Italia queste cose semplici stanno al palo. Non vogliamo guardare in faccia alla realtà. Se ne parla poco sugli organi di stampa (se non nelle pagine del gossip e delle curiosità), non se ne occupano gli amministratori pubblici e le strutture preposte alla gestione del mercato del lavoro e della formazione. Ma, quel che è peggio, in un momento in cui ci sono lavoratori che si suicidano o iniziano a tremare per il prossimo esaurimento dei fondi per la cassa in deroga, nessun sindacato prende in mano questa battaglia di modernità, simile a molte altre. Si organizzano solo scioperi inutili (contro chi?), cortei e comizi fini a se stessi che alimentano rassegnazione, frustrazione e incertezza. A cosa serve aver fatto la scelta di non mettere in discussione l'economia di mercato, in nome di libertà e democrazia, quando se ne nega uno dei caposaldi, la possibilità e l'utilità di cambiare lavoro e settore quando l'economia lo richiede?Ce lo spieghino i nostri concorrenti sindacali: perchè non iniziamo a dare una mano a questi primi 6.000 italiani a trovarsi una nuova attività?Per non perdere tessere sindacali e trattenute mensili?

giovedì 11 aprile 2013

AL VIA A MILANO IL PROCESSO PER L'AVVELENAMENTO DI UN FARMACISTA DA PARTE DI UN IMPRENDITORE DELL'AUTOTRASPORTO: IPOTESI INQUIETANTI AL VAGLIO DEI GIUDICI


Molti ricorderanno il fatto di cronaca che ebbe qualche tempo fa risonanza nazionale. L'anomalo omicidio, tramite avvelenamento, da parte di un imprenditore in difficoltà dell'”amico” farmacista.
La vicenda torna alla ribalta (lo testimonia l'articolo apparso ieri sulla cronaca milanese di Repubblica e che qui riportiamo) perchè è arrivato il momento dell'inizio del processo. Saranno i giudici a dirimere la questione e non sarà un compito facile. Certo, la linea difensiva dell'imprenditore scelta da parte dell'Avvocato Andrea Benzi, del Foro di Milano, se le gravi ipotesi che innanzitutto la Squadra Mobile ha avanzato (delitto consumatosi all'interno di un giro di usura in cui sono coinvolti anche pregiudicati appartenenti a clan mafiosi) saranno confermate dai giudici , non potrà non dipingere anche un preoccupante affresco delle condizioni nelle quali la piccola impresa oggi si trova a operare nel nostro Paese, in particolare al nord. L'imprenditore, Gianfranco Bona, era a capo di una impresa dell'autotrasporto che contava una ventina di dipendenti. Il nostro Sindacato, l'AGL, si è adoperato in prima persona, nei mesi scorsi, tramite accordi individuali stipulati in sede sindacale, affinchè per i lavoratori fosse garantita una uscita indolore dall'azienda ormai cessata e a rischio di fallimento. Una vicenda amarissima che dimostra come due questioni, pur da tempo all'ordine del giorno della polemica politica (le Pubbliche Amministrazioni che non saldano i propri debiti con le imprese fornitrici e il ruolo sconcertante da parte del sistema bancario nel creare più difficoltà possibili al sistema delle imprese e ai suoi lavoratori) irrisolte per mancanza di volontà da parte di chi ha governato finora il Paese, stanno mietendo vittime (pensiamo ai suicidi) tra imprenditori, professionisti e soprattutto i lavoratori e le loro famiglie che finiscono sul lastrico. In Italia si suol dire che il potere pubblico si muove tardi sulle situazioni più a rischio e solo quando ci scappa il morto. Ecco, qui non solo i morti ci sono da mesi ma abbiamo l'impressione che un po' tutti ci stiamo facendo l'abitudine. Non solo quindi un paese in decadenza per la crisi globale ma, purtroppo , un'Italia che sta sempre più sprofondando nell'indifferenza, nella violenza e nella barbarie. Inutile dire che se è la mafia l'unico prodotto italiano per il quale va a gonfie vele sia l'esportazione (valga a dimostrarlo l'ultimo libro di Saviano in cui si osserva che il modello italiano è sempre più il punto di riferimento per le più spietate cosche nel mondo) sia il mercato interno (assieme all'usura può entrare nelle vite di tutti, come questo fatto di cronaca conferma) allora sono in pericolo la convivenza civile e la democrazia. E significa pure che la spinta propulsiva delle vecchie associazioni anti mafia e anti usura forse si è esaurita e finalmente è arrivata l'ora che ogni partito, ogni sindacato (come noi dell'AGL), ogni organizzazione datoriale, ogni ordine professionale debba prendere in mano queste bandiere, senza più delegarle ad avanguardie solitarie.